Attendevo Super 8 da
tanto tempo, probabilmente da prima di gran parte di voi. Non appena sulla Rete
si cominciarono a diffondere le prime informazioni riguardo questo progetto, le
mia antenne si sintonizzarono permanentemente in quella direzione. E non perché
io sia un fan di J. J. Abrams (che non conosco abbastanza da poter valutare, mancandomi interamente il capitolo Lost),
ma perché mi entusiasmava l’idea alla base del film: produrre, nel 2011, un
film-omaggio a un tipo di cinema che non si fa più, quello pensato ad uso e
consumo di un pubblico molto giovane, quello che Steven Spielberg, nelle vesti
di regista e produttore, ha portato al successo fra la fine degli anni ’70 e e
l’inizio degli anni ’90.
Super 8 racconta una
storia piuttosto semplice. Ohio, 1979. Una cittadina della provincia americana
è sconvolta da un disastro ferroviario: un treno si scontra con un pick up,
deraglia, e perde il suo prezioso contenuto top secret. Immediatamente sul
posto si precipitano interi plotoni dell’esercito, nel vano tentativo di
ristabilire l’ordine e di tenere la popolazione locale all’oscuro di ciò che
realmente sta succedendo. Vi ricorda qualcosa? Ma certo, è un canovaccio tipico
di un certo tipo di fantascienza, istituzionalizzato dal cinema
americano e poi ripreso in innumerevoli varianti in tutto il mondo, non solo al
cinema (un esempio su tutti: la miniserie a fumetti Caravan). Quello che è
originale nel film di Abrams è il punto di vista sull’azione. Protagonisti sono
alcuni ragazzini della città che assistono per caso all’incidente mentre stanno
girando un horror amatoriale in super8, e che si ritrovano irrimediabilmente
coinvolti nell’intrigo: una scelta che rimanda ovviamente ai classici di
Spielberg, in cui i personaggi principali erano bambini liberi di girare in
bicicletta per le strade nuvolose dell’America anni ’70.
L’originalità dell’impianto
narrativo, però, finisce qui. Tutto il resto – personaggi, vicende personali,
finale – è piuttosto prevedibile, quando non telefonato o già visto e rivisto.
Super 8 è un film che fa un uso abbondante di stereotipi: il che, come ho già
detto altre volte, non è necessariamente un male, basta sapere come
utilizzarli. E in questo film non si fa niente per creare un po’ di scompiglio:
ogni persona agisce esattamente come ci si aspetterebbe, i personaggi che devono morire muoiono, e le cose vanno
proprio come in molti altri film di questo genere.
Descritto in questo
modo Super 8 sembrerebbe un film da cui tenersi alla larga, e invece non è
esattamente così. Certo, se per voi la trama è tutto resterete senza ombra di
dubbio delusi, ma prima di dare un giudizio su questo film vale la pena
concentrarsi su un secondo aspetto. Super 8 è – come ho scritto in apertura –
un film-omaggio: e in quanto tale funziona non bene, ma benissimo. La verità è
che una pellicola di questo tipo presuppone altri film per essere apprezzata
appieno: se non avete visto E.T., Incontri ravvicinati del terzo tipo, I
Goonies – e se non li avete visti nel giusto momento della vostra vita, aggiungerei
– probabilmente non potete riconoscere il fascino nascosto di Super 8. In
questo film ogni elemento trasuda un amore per il citazionismo che ha dell’incredibile:
dalle già citate biciclette alle scenografie, dalla famiglia complicata fino ad
arrivare alla fotografia (che mi è sembrata ricalcare volutamente quella scura
e vagamente sporca tipica del cinema americano di quei tempi). Per non parlare
dei rimandi che un fan di Abrams potrebbe trovare in un’opera del genere:
qualcosa mi dice che l’abbondanza di controluce e lens flare ha qualcosa a che
fare con questo…
Ci si potrebbe
chiedere, a questo punto, se il gioco valga la candela; e, di conseguenza, se
valga la pena vedere questo film. La risposta non ve la so dare, e credo che
sia in buona parte una questione personale, che va al di là dei gusti
cinematografici: al pari di altre operazioni-nostalgia, Super 8 parla al cuore
delle persone e ai sentimenti associati ai film che fanno sognare da bambini. Forse una pellicola di questo tipo dimostra una volta di più come il cinema abbia la capacità di fondare delle vere e proprie mitologie moderne, ridefinendo l'immaginario collettivo.
Io, da fan di Spielberg e da sostenitore dei film/libri pensati per i ragazzi,
ho trovato questa pellicola gradevole: senza essere un capolavoro, regala
comunque qualche bel momento di tensione, alcune battute fulminanti, dei begli
effetti speciali. Però, allo stesso tempo, mi ha lasciato con l’amaro in bocca:
come se gli mancasse quel qualcosa che rendeva unici i film cui si ispira, come
se fosse la dimostrazione del detto “l’abito non fa il monaco”. A questo punto
sorge spontanea la domanda: i capolavori di Spielberg erano tali perché li abbiamo visti
da ragazzini, oppure c’era qualcosa che li rendeva davvero speciali? Temo proprio che
la risposta sia al di là della mia comprensione.
In ogni caso, non
abbandonate la sala all’apparire dei titoli di coda: mentre scorrono i credits
del film, viene trasmesso finalmente il corto realizzato dai protagonisti. Vi
assicuro che è fatto talmente bene, nella sua finta artigianalità, che a tratti
è più bello del film stesso.
Luigi
4 commenti:
come direbbe una persona che conosco io, il film è GODIBILE anche per chi, come me, non ama il genere.
Certo, dovrei rimediare alle mie lacune e vedere per esempio ET o Incontri ravvicinati del terzo tipo, ma per ora non ho tempo: devo finire la retrospettiva su Nanni Moretti! ;)
Lo vedrò sicuramente, mi ha incuriosito questa recensione sopratutto perché mi aspettavo un film di altro genere, comunque forse ciò che rendeva speciali quei film era un po l'eta, un po la novità ed un po credo la nostra ingenuità, vedere un film del genere ora non ha effetto perché abbiamo troppe aspettative secondo me.
sono d'accordo con te su tutto quello che dici in questa recensione... ma non essere troppo severo.
Il film è veramente godibile da tutti e reinterpreta un genere che non morirà mai.
E non so dirti perchè, ma lo metterei volentieri tra quei film che rivedrei di nuovo anche subito.
Lo preciso: a me il film è piaciuto. Solo che me lo aspettavo meglio...
Concordo pienamente l'affermazione sul genere che non morirà mai, anche se rispetto al passato è decisamente più appannato. Sembra che gli adolescenti di oggi preferiscano "Twilight"...
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