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giovedì 17 marzo 2011

Il camaleonte più veloce del west

Ve lo voglio dire subito: Rango è il film più bello che abbia visto al cinema in questo inizio 2011. È ben fatto, appassionante, ricco di spunti e non banale. Ed è un cartone animato. La vera tragedia è che, molto probabilmente, a vedere questo film saranno in prevalenza ragazzini, portati al cinema da genitori che lo hanno erroneamente scambiato per un film per bambini. Cosa che Rango non è affatto.


Aspettavo con ansia questo film: sia perché segnava il ritorno alla regia di Gore Verbinski, a quattro anni dalla sua ultima fatica; sia perché era l’esordio nel cinema d’animazione della Industrial Light & Magic; sia perché le immagini promozionali mi avevano subito affascinato. Il rischio di rimanere deluso era altissimo, e devo ammettere con rammarico che negli ultimi tempi sono state davvero poche le pellicole che mi hanno lasciato veramente entusiasta. Fortunatamente, però, Rango costituisce una grandissima eccezione.

Il protagonista è un camaleonte domestico, il cui mondo non va al di là del terrario in cui vive. Nella sua solitudine – gli fanno compagnia solo una Barbie decapitata, un insetto morto, una palma finta e un pesce giocattolo – si è convinto di essere un grande attore. Ma un giorno, mentre la sua famiglia attraversa il deserto del Mojave, il nostro camaleonte viene sbalzato fuori dalla macchina: si ritrova così improvvisamente in un ambiente ostile e sconosciuto, sempre più solo. In qualche modo riesce ad arrivare a Polvere, una città di frontiera abitata da animali del deserto. Accolto con freddezza dagli abitanti del posto, il camaleonte si inventa un nome – Rango – e fa l’unica cosa che sa fare: recitare, fingendosi un abile pistolero. Colpiti da tanto coraggio, i cittadini di Polvere non possono far altro che nominarlo sceriffo: ma ben presto Rango dovrà dimostrare di essere veramente un eroe.

Rango è un autentico film western. Tolta la prima, breve sezione, l’intera pellicola si svolge tra il più assolato dei deserti e la più tipica delle cittadine di frontiera, mentre il protagonista entra progressivamente in contatto con i pittoreschi abitanti del luogo. Ci sono il sindaco, il barista, il medico, il vecchio, le prostitute, la bella e ovviamente c’è l’immancabile sarto che, prese le misure all’eroe, comincia a confezionargli anche la cassa da morto: una schiera di personaggi che sembra appena uscita da un western classico o da uno spaghetti western, e che risulta immediatamente familiare agli appassionati del genere. Ma c’è di più: non mancano neanche l’inseguimento nel canyon, l’assalto alla diligenza, il duello di mezzogiorno, e la squadra di eroi che cavalca nel tramonto.
In tal senso, il film mi è sembrato perennemente in bilico fra l’omaggio e la parodia. Il tono generale dell’avventura è piuttosto scanzonato, le situazioni vengono stemperate da una certa ironia, e tutti i personaggi – a partire dal protagonista – non sembrano prendersi troppo sul serio. D’altra parte, Rango celebra l’intera epopea del West; ma, ancora di più, celebra mezzo secolo di filmografia di genere, rendendo omaggio soprattutto a Sergio Leone (i cui film, negli Stati Uniti, hanno avuto un impatto pazzesco). Ecco, credo che la ricetta degli autori sia stata più o meno questa: “Ehi gente, facciamo un film che rispecchi tutti gli stereotipi del western, perché non c’è niente di più bello al cinema, e allora sapete che c’è? La prendiamo alla leggera e condiamo il tutto con ironia, così ci copriamo le spalle, ma nello stesso tempo omaggiamo i grandi maestri del passato”. Beh, complimenti: funziona alla grande, e a mio parere non c’è modo migliore, oggi, per approcciarsi a un genere che ha già detto tutto.

Se il film è riuscito così bene, però, il merito è in gran parte dei personaggi. In molti hanno parlato di caratteristi, ed in effetti è proprio così: pur essendo generati al computer, alla fine ci sembra di conoscerli da una vita, come se fossero tasselli di una saga più grande, ognuno con la propria vicenda e il proprio stile.
Il tutto si sposa a meraviglia con uno dei più accurati design che io ricordi nei tempi recenti: non solo ogni personaggio è realizzato magnificamente, ma allo stesso tempo si ricollega a qualche nobile esponente del passato di questo genere. Le mie personali menzioni d’onore vanno all’armadillo (memorabile la sua prima apparizione, tagliato in due da un’automobile) e a Jake Sonagli (un serpente dalle sfumature steampunk, con una mitragliatrice al posto dei sonagli e una cartucciera avvolta attorno al corpo), ma in realtà l’intera banda messa su da Rango entra nella memoria.
A dare maggiore rilievo a questi dettagli, il fatto che il film sia stato realizzato dall’Industrial Light & Magic: un’azienda di effetti speciali fondata da George Lucas alla fine degli anni ’70, responsabile di tutte le scene più spettacolari che possiate ricordare negli ultimi decenni, ma che qui era all’esordio nell’ambito dell’animazione. Spero vivamente che il buon giorno si veda dal mattino, perché non mi dispiacerebbe vedere questo studio all’opera su nuovi soggetti animati.

Sul fronte dei contenuti, il film non si limita a un semplice omaggio alla mitologia western. Nella seconda parte, con il dispiegarsi della vicenda, emergono tematiche decisamente più adulte, forse poco comprensibili dagli spettatori più giovani: su tutte l’arroganza del potere e il controllo delle fonti energetiche scarse, magnificamente esemplificato dall’acqua, la vera “moneta” della città di Polvere.
Ma ancor di più emerge, con sfumature persino malinconiche, il tema del passare del tempo e dell’arrivo del progresso. Da questo punto di vista, Rango è pienamente ascrivibile a quel particolare sottogenere che è il western crepuscolare, quello che parla della fine del mito della frontiera e dall’avvento della “civiltà”: è questo il senso, a mio parere, della scena più surreale della pellicola, quella che vede Rango attraversare finalmente la strada per incontrare lo Spirito del West, che altri non è che… (andate a vedere il film e scopritelo da soli)

La regia di Gore Verbinski è adeguata, e alterna momenti riflessivi a sequenze d’azione esplosive. Uno degli spezzoni meglio diretti del film, a mio parere, è quello che da solo vale il prezzo del biglietto: una scena che vede gli eroi fuggire nel famoso canyon con un carro, inseguiti da uno stuolo di roditori armati di mitragliatori a bordo di pipistrelli; una strabiliante sequenza di purissima azione, dal ritmo serratissimo e a tratti delirante (i pipistrelli che, abbattuti, toccano terra ed esplodono come aerei), il tutto sulle note della Cavalcata delle valchirie di Wagner suonata al banjo (ricordate Apocalypse Now?).
Lo ammetto, sono sempre più un fan di Verbinski: con la trilogia di Pirati dei Caraibi si è superato (ma in passato ha anche realizzato la versione americana di The Ring, la poco conosciuta commedia The Wheater Man e… Stuart Little – Un topolino sotto sfratto!), con Rango si è confermato su altissimi livelli, ed ora aspetto di vederlo di nuovo dietro alla macchina da presa.

E che dire della musica, cui facevo cenno poco fa? Qui Hans Zimmer si riconferma uno dei migliori compositori sulla piazza, realizzando una partitura che mischia temi tipici del western, pezzi classici, musica tipica messicana e canzoni. L’intera vicenda è accompagnata dagli stornelli di una simpatica banda di gufi mariachi, che cantano le avventure di Rango e dividono di fatto il film in sequenze. Da non perdere, sempre per la musica, i fantastici titoli di coda!

Ma Hans Zimmer non è l’unico nome noto coinvolto nell’operazione. Molto clamore ha suscitato la presenza di un acclamatissimo direttore della fotografia, Roger Deakins, che vanta il poco invidiabile palmares di nove nomination all’Oscar senza averlo mai vinto (l’ultima quest’anno, per Il grinta). Deakins ha curato la fotografia del film, ed è alla terza partecipazione a un cartoon dopo Wall•E e DragonTrainer: se vedendo questo cartone animato non vediamo quasi differenze con una pellicola tradizionale (notate come gli elementi in secondo piano siano sempre sfocati, o i giochi di luce e ombra nel saloon), parte del merito è anche suo.
La sceneggiatura, infine, è di John Logan, già autore di Ogni maledetta domenica, The Aviator, Sweeney Todd e (so che questo a qualcuno non piacerà) Il gladiatore. Ottimo il suo lavoro nell’ambito della caratterizzazione dei personaggi, ma altrettanto non si può dire dei dialoghi, talvolta poco incisivi; inoltre ho trovato poco riuscite (e anche fuori posto) alcune gag comiche.

Ma volete sapere, arrivati alla fine, qual è il più grande pregio di Rango? Beh, si tratta di un cartone in animazione digitale, uscito nel 2011, che non è in 3D. Sembra impossibile, ma fortunatamente è così: la terza dimensione avrebbe aggiunto qualcosa in alcune scene (forse), ma avrebbe tolto qualcos’altro al nostro portafogli; il che, in tempi di tasse sul cinema, non mi sembra proprio il caso.

Il grande limite di Rango è strettamente connesso con l’essenza stessa del film: questo è un film di genere che omaggia un intero filone di film di genere. Ovvero: se avete poca dimestichezza con il western, rischiate di perdervi gran parte dei riferimenti e delle citazioni; se poi odiate il genere, beh, difficilmente questa pellicola vi farà cambiare idea.
Se però non avete paura di cimentarvi con speroni, cappellacci e polvere, allora scoprirete un piccolo gioiello. Tecnicamente impeccabile, Rango riesce anche a dire qualcosa di non banale su alcuni grandi temi del nostro tempo, facendo nello stesso tempo la gioia dei cinefili e dei fan di questo genere. Grande, grandissimo cinema d’intrattenimento, e forse anche qualcosa in più.

Luigi

13 commenti:

Stefano ha detto...

Bravo Luì bella recenzione m'hai fatto venì tanta voglia di vederlo che mo me lo vedo poi lascio un altro commento per dirti che ne penso.

livio15 ha detto...

Non leggerò questa recensione per un solo motivo.. voglio Prima vedere il film, poi leggero e commenterò volentieri, non voglio influenze, un saluto
ps
sulla grafica ho commentato sul tuo blog.

Matteo R. ha detto...

La recensione è ottimale e a parte svelare come inizia il film ha il pregio di non svelare la trama (anzi forse è più rivelatore il trailer). Mi aggiungo al plauso generale sia per la recensione che per il film: lo avevo adocchiato sin da subito, ma si sa che io sono un fan del western. Dico che all'inizio mi aveva un po' spiazzato l'idea di mettere come personaggi tanti animali diversi tra loro e la scelta di un camaleonte come protagonista. Ora che so che caratterizzazione ha il camaleonte stesso sono più convinto anche perché magari quando vedrò il film capirò che è giusto così.
Al di là del film in sé, che sono convinto mi piacerà, mi sembra notevole che la grafica computerizzata sia una tecnica così espansa e diffusa da potersi ormai concentrare sulle trame, creando sempre più prodotti "adulti" che, a differenza dell'odioso 3D, non si limitano all'autocompiacimento tecnico

gabriele ha detto...

devo assolutamente vederlo al più presto.
bel pezszo come al solito :)

(lunedì ti mando gli schizzi :))

Valeria ha detto...

Devo dire che il film è piaciuto anche a me: nonostante non abbia colto tutti i riferimenti che ha colto Luigi, non sento di aver perso molto. L'importante di un film, per me (e anche per la nostra vecchia amica, Valentina), è la sceneggiatura, i contenuti. E di certo i contenuti di questo film sono molto importanti e affrontati in maniera abbastanza profonda (tanto che concordo con Luigi sul fatto che avrei evitato di farlo vedere a dei bambini, che credo abbiano capito poco o nulla). La morale che ho colto io è che anche la persona meno esperta del mondo, l'uomo (o il camaleonte) medio, può fare qualcosa per estirpare gli abusi del potere e per difendere gli interessi di tutti. In fin dei conti si tratta pur sempre di un film/cartone e come tale cerca di dare l'idea che il bene vince e il male invece è destinato a perdere. Sarà banale, ma è un messaggio confortante, per i piccoli come per i più grandi.

Luigi ha detto...

Mi fa piacere se vi è venuta voglia di vederlo: vi assicuro che merita. E poi mi farebbe piacere sentire anche altri commenti di persone che lo hanno visto, così vediamo come la pensate.

Due parole sul trailer. Personalmente l'ho trovato poco azzeccato: si concentra molto sulla comicità, facendo vedere quasi tutte le scene più divertenti, quando a mio avviso il film è più che altro "ironico". Sembra una differenza sottile, però non so spiegarmi meglio.
E' come se lo avessero voluto spacciare a tutti i costi come un prodotto per i più piccoli, seguendo l'equazione cartone = bambini. Cosa sbagliata invece.

Come diceva Matteo, la tecnica dell'animazione è ormai matura. Mi sembra inappropriato che film come questo vengano etichettati come "genere animazione". Ma che vuol dire? Come si può definire un genere sulla base di un elemento tecnico? Conoscete il "genere bianco e nero", il "genere fotografia sgranata" o il "genere montaggio ellittico"? Rango è un film di genere western: credo che non si possa definire meglio.
Ecco, secondo me il grande equivoco attorno all'animazione è tutto qui. Ancora non si è capito che non si tratta di una cosa a sé, ma di un modo come un altro per girare e realizzare un film.

@ Valeria. Si, in effetti alla fine c'è anche un elogio della normalità. Rango è un poveraccio, uno qualunque, che però trova il coraggio di diventare quello che (inizialmente) non è.
Su un'altra recensione ho letto che, se vogliamo, Rango è anche una persona di oggi catapultata in un'epoca che non c'è più: come a dire, uno qualsiasi alle prese con un problema più grande di lui.

Giulia ha detto...

E pensare che vedendo il trailer mi era passata la fantasia di vederlo... Ora tocca andarci...

Marco ha detto...

Per quanto riguarda la sceneggiatura, non ho visto il film, ma a differenza di altri (ovviamente non di tutti) sapevo che è stata curata dello stesso che ha seguito anche quella del Gladiatore, e devo dire che suona palesemente strana l'inadeguatezza dei dialoghi, che invece nel film di Ridley Scott hanno probabilmente segnato uno dei maggiori punti di forza, se non il maggiore in assoluto.
In ogni caso, sarà da vedere, poi ti dirò qualcosa di più dettagliato.

Marco ha detto...

Luì, adesso che mi viene in mente, anche questo blog potrebbe essere in un certo qual modo ricollegato a Monkey Island.
A Puerto Pollo, prima di arrivare a Danjer Cove, si arriva sul dirupo dove Guybrush trova il cartello "Attraversamento Serpenti" sul tronco dell'albero, prima di essere inghiottito dal simpatico animale!
Buffo, no?

Andrea ha detto...

io ho visto un trailer in inglese del quale non ho capito praticamente nulla.

l'unica cosa che mi ha colpito è come jhonny depp, in versione digitale o meno, stia diventando sempre di più (almeno per me) la parodia di se stesso e del suo modo di recitare (si veda la trilogia dei pirati dei caribi - dove comunque è giustificato - e l'ultima TREMENDA prova dell'alice di burton).

detto questo, io non sono un amante dei film western (perchè non riscopriamo la genuina falsità e lentezza del peplum?, mi chiedo) e quindi non ero certo involgiato ad andarmi a vedere sta cagata...

nonostante ciò, grazie all'articolo, un po' di voglia mi è venuta e, sempre che riesca a capire qualcosa della versione non doppiata, vi farò sapere che ne penso!

Gianfranco ha detto...

Entonces, luis

Ho letto la recensione. Devo essere sincero, ho molti pregiudizi sui film d’animazione, tuttavia se avrò la possibilità credo che a Rango gli darò volentieri un’occhiata, hai fatto una buona pubblicità (mi basta come spinta solo la scena con la Cavalcata delle valchirie, amo l’originale di Francis Coppola XD).

Ti ho visto ferrato nel genere western e so che sei un esperto anche di fantascienza. Per questo voglio farti una domanda, sperando di non uscire un po’ fuori tema, ma voglio sapere come la pensi. Secondo te, quanto questi due generi adottano gli stessi stereotipi? Il west inesplorato diventa lo spazio, o qualche pianeta in particolare, estremamente desolato. La città di frontiera, dove tutto è lecito, etnie diverse si incontrano, dove è facile trovare contrabbandieri, cacciatori di taglie, saloon-bordelli poco raccomandabili, diventano nella fantascienza i classici pianeti dove le navi approdano e ripartono per fare rifornimento, di equipaggio e carburante. L’eroe di turno, invece di cavalcare un piccolo mustang velocissimo, è proprietario di un’astronave altrettanto rapida e manovrabile (per esempio Han Solo con il Millennium Falcon). Molte storie di fantascienza sembrano ripercorrere la trama dei Magnifici sette: l’eroe che raccoglie un gruppo di desperados, sparsi un po’ ovunque, per una nobile causa.

Io credo che la fantascienza prenda in prestito dal Fantasy le ambientazioni epiche, gli scontri bene-male in due diversi schieramenti, mentre dal western prende il concetto di frontiera, con tutti gli stereotipi alla Sergio Leone, e non solo, che esso comporta.

Tu, che ne pensi?

Luigi ha detto...

Ottimo interventi, Gianfranco, e per niente fuori tema!

Per come la penso io, credo che tu abbia ragione: i due generi hanno diversi stereotipi in comune. Sicuramente è stata la fantascienza a venire influenzata dal western: la fantascienza classica è arrivata negli anni '30 e seguenti, quando il western aveva già la sua struttura ben codificata.

Pensando alla fantascienza e al western, e limitandomi al cinema, non possono non tornarmi alla mente alcune scene di Star Wars (penso a quelle ambientate sul pianeta desertico Tatooine, dove la bettola in cui finiscono gli eroi è un vero e proprio saloon), e i film della serie Mad Max (non molto conosciuti: produzioni australiane degli anni '80, trampolino di lancio per Mel Gibson, ambientate in un futuro post-apocalittico). Avrei voluto vedere "The Road", uscito l'anno scorso: anche quello lo vedo bene all'intersezione dei due generi.

Se poi consideriamo che, da Kennedy in poi, la "nuova frontiera" è stata lo spazio, beh allora è naturale che lo scenario dei nuovi western sia quello galattico. Come dire, un nuovo abito per dei canovacci già ampiamente sfruttati.

Su MyMovies è interessante un'intervista al regista di "Rango", che afferma che secondo lui possono essere etichettati come western un po' tutti i film d'avventura: da "Star Wars" a "Pirati dei Caraibi". Questo perché, in un certo senso, il western riassume in sé molte delle stesse situazioni.

E non dimentichiamoci che il western è stato uno dei primi generi cinematografici "moderni": "Ombre rosse" è del 1939, ed ha inventato molti degli stereotipi del genere (dalle prostitute coraggiose ai medici ubriaconi, fino al mitico assalto alla dirigenza)

LImerick ha detto...

Mi hai fatto venire voglia di vederlo!

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