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lunedì 13 giugno 2011

Manituana di Wu Ming

Joseph "Thayendanegea" Brant, uno dei protagonisti del romanzo.


Manituana è il terzo romanzo ad opera del collettivo Wu Ming (formato prima da cinque e ora da quattro scrittori bolognesi, a cui si deve anche il romanzo Q, pubblicato con lo pseudonimo Luther Blissett). Uscito nel 2007, costituisce il primo volume di un "Trittico atlantico", progettato dagli scrittori per mettere in luce le varie tappe storiche con cui si attuò la separazione tra Nuovo e Vecchio Mondo, in concomitanza con la nascita e l'ascesa degli Stati Uniti d'America, "figli" dell'Europa.

Le vicende della Rivoluzione Americana costituiscono tuttavia solo lo sfondo, l'ambientazione del romanzo, a causa dell'originale punto di vista utilizzato: Manituana racconta infatti la storia della comunità mista della Valle del Mohawk, nella provincia del New York, formata prevalentemente da Mohawk e da immigrati irlandesi e scozzesi non inseriti nel tessuto colonico delle terre coltivate circostanti: questa comunità costituiva il sogno realizzato di William Johnson e del capo indiano Hendrick. La valle, per via della popolazione Mohawk, fa parte anche della confederazione delle Sei Nazioni, quegli Irochesi che avevano avuto frequenti contatti con gli Europei e potevano vantare una certa forza e autonomia. 
La situazione di generale stabilità che consente tale autonomia (conseguenza della guerra franco-inglese, quella de L'ultimo dei Mohicani, ambientato in zone vicine) è minacciata dall'incipiente rivolta delle Province contro la madrepatria: per la valle del Mohawk l'insurrezione dei coloni consiste principalmente nella minaccia di veder sottratte ai domini della famiglia Johnson le fertili terre in cui Indiani ed Europei convivono. Il romanzo parte da questo punto e segue le esistenze di alcuni esponenti di questa società mista, alcuni Indiani e altri Europei, in parte esistiti veramente.

Il punto di vista della vicenda è sicuramente uno dei punti di forza: Manituana racconta una storia consacrata dal mito (vi basti ricordare nel Campidoglio della capitale degli Stati Uniti è affrescata l'apoteosi del condottiero della rivolta, che alla città dà anche il nome) dal punto di vista di chi è stato sconfitto ed è dovuto sparire dalla memoria collettiva per consentire che il mito si realizzasse. Niente di simile alla società della Valle del Mohawk poté ripetersi dopo la Guerra d'Indipendenza e le stesse Sei Nazioni videro pesantemente ridotti la loro popolazione e le terre in cui potevano vivere. Quanto ai protagonisti del romanzo, le vicende della Storia influenzarono notevolmente le loro vite e molti di essi andarono incontro a un tragico destino.
La consapevolezza (anche in maniera molto sommaria) di quale inevitabile destino attende i protagonisti crea una strana sensazione nel lettore: oltre a consentire una critica verso i vincitori (che sicuramente non è una cosa negativa), si prova anche una sorta di disagio, vedendo quanto affannarsi abbia preceduto l'inevitabile tracollo. Anche perché i cinque Wu Ming sono molto abili e, pur fornendo molte sfaccettature carettariali, ci spingono a parteggiare per i membri delle famiglie Johnson e Brant e per i loro amici (è inevitabile essere conquistati da un personaggio come Philip Lacroix).

Un punto di forza del romanzo è l'ottima ricostruzione storica, mai banale, che sta alla sua base. La storia è anche interpretazione e non ci sono dubbi di quale visione di questi eventi presieda alle scelte degli scrittori: ciò non è a mio avviso sempre sbagliato, specialmente quando come in questo caso non si palesa con sterile polemicità o meschinità. Personalmente di fronte a Ethan Allen che sbraita: "Io sono il fuoco che consuma Babilonia! A morte i tiranni!", ho provato un profondo amore per come vengono dosate realtà e finzione in Manituana.
Un ulteriore punto di forza sta nello stile adottato per ricostruire il periodo storico e le vicende: i diversi linguaggi sono molto curati e la scrittura si adatta perfettamente alle diverse realtà etniche, sociali, o anche solo fattuali, che racconta. Da questo punto di vista risulta indimenticabile il capitolo dell'udienza del re Giorgio III, come in generale la ricostruzione linguistica di Londra (dallo slang Mohock agli eventi mondani).
Da quando leggo Wu Ming resto sbalordito di una cosa soprattutto: la capacità che hanno cinque scrittori di sintetizzare la scrittura collettiva: Manituana sembra non solo scritto da un'unica persona, ma anche da un'unica persona ben conscia delle proprie capacità. 
Certamente non ci sono dubbi di trovarci di fronte a un romanzo scritto agli inizi del XXI secolo, sia per lo stile sia per la scelta dell'argomento trattato (non sono certo romanzieri russi dell'Ottocento), ma questo aggiunge solo punti al romanzo, che è anche una lettura godibilissima e avvincente.

Sicuramente tanta presa che ha sul lettore è dovuta alla trama: potrei fare l'avvocato del diavolo e osservare che c'è una certa "facilità" nel raccontare una storia avventurosa di orgoglio patriottico e affetti privati e piazzandoci un esito tragico per coinvolgere in maniera definitiva chi la recepisce. Questo è sicuramente vero, si attua anche in questo caso, e io vi confesso tutta la mia gioia di essere "cascato" nella trappola di Wu Ming.
Anche perché sono sempre contento quando mi trovo di fronte a un libro che miscela così bene diversi livelli di lettura, rendendosi fruibile a diverse tipologie di lettori. Infatti io consiglio Manituana a tutti coloro i quali sappiano leggere.

Per chiudere un breve elogio degli autori: il collettivo Wu Ming è probabilmente il più vivo fenomeno letterario dell'Italia contemporanea. I quattro (un tempo cinque) riescono a unire il ruolo di autori di un'opera con quello, ben più difficile, di propagatori di cultura: le loro opere sono accompagnate da continue conferenze itineranti, secondo una precisa strategia di comunicazione (che io personalmente bollo come dannatamente di sinistra); interessi diversi dei singoli membri che garantiscono opere individuali altrettanto degne e un continuo dibattito; l'unico tentativo di lettura critica della produzione letteraria contemporanea (il saggio sul New Italian Epic) con la creazione di un minimo di confronto culturale; la dimestichezza (dovuta anche all'età) con Internet che consente una vicinanza estrema con i lettori dotati di una connessione e una precisa presa di posizione su problematiche tipiche della realtà contemporanea (Manituana, come il resto delle loro opere, è distribuito attraverso la licenza Creative Commons e può essere scaricato gratuitamente). 
Probabilmente parte delle critiche negative (Wu Ming ha l'usanza di riportare in maniera molto compiaciuta le peggiori recensioni che ricevono le sue opere) verso questo collettivo di scrittori sono dettate da una concezione pregiudiziale del loro fare letteratura. Io sinceramente ho trovato questo come unico difetto grave: di aver scritto troppi pochi romanzi sinora.

Matteo R.

Il sito dedicato al romanzo, qui.

1 commento:

Luigi ha detto...

Devo assolutamente procurarmi questo libro! Lo avevo già adocchiato più volte in libreria, ma per un motivo o per un altro non l'ho mai comprato... Credo sia proprio il genere di libro che mi piacerebbe.

Così, senza averlo letto, mi sembra un buon connubio tra romanzo popolare (cioè che fa presa sul pubblico, diciamo libro d'avventura) e ricostruzione storica. Resta da vedere come è scritto e come è portata avanti la trama, ma dalla tua recensione mi sembra non abbia particolari difetti.
(Al contrario, ho ultimato da poco "Veracruz" di Evangelisti e devo ammettere che non mi è piaciuto. A prescindere dalla trama - piuttosto debole e poco appassionante - e da alcuni personaggi malriusciti, il vero punto debole è lo stile: a volte sembra un manuale di storia, non un romanzo, e indugia troppo su alcuni particolari nozionistici)

Pur non avendo mai letto nulla di loro (a parte la prefazione a "Cultura convergente" di Jenkins), apprezzo abbastanza i Wu Ming. Trovo molto significativo che abbiano redatto un manifesto culturale per una corrente letteraria (cui, però, potevano pure dare un nome in italiano). L'unica cosa che non mi va molto a genio è il loro essere davvero molto politicizzati: alla fine sempre di politica si finisce a parlare!

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