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domenica 22 maggio 2011

Alla ricerca della fonte perduta

Nel suo fondamentale libro Cultura convergente (Apogeo, 2007), il saggista statunitense Henry Jenkins cita un post molto interessante apparso sul suo blog nel luglio del 2007. Partendo dalla visione del film Pirati dei Caraibi – Ai confini del mondo, l’autore faceva un’acuta riflessione sul panorama cultural-mediatico contemporaneo. L’intervento cominciava così: “Di regola, mai fidarsi dell’opinione di un critico cinematografico affermato a proposito di un film con un numero dopo il titolo – e il grado di sfiducia va moltiplicato per ogni numero superiore a due”.

Pirati dei Caraibi – Oltre i confini del mare un numero dopo il titolo non ce l’ha, ma è pur sempre il quarto episodio di un franchise multimiliardario: naturale, dunque, che le prime critiche ufficiali siano state negative o non entusiaste. Proprio per questo mi sono approcciato al film con alcuni dubbi, che si sono aggiunti alle perplessità per i preannunciati cambi (di cast e regia) che questo episodio ha portato con sé.

Il film – come è noto – abbandona parzialmente la continuità con gli altri episodi della serie, presentandoci una storia completamente nuova. C’è sempre Jack Sparrow (Johnny Depp), c’è sempre Hector Barbossa (Geoffry Rush) e grazie al cielo c’è ancora il nostromo Gibbs (Kevin McNally), ma è passato del tempo dagli eventi del terzo episodio, e quindi ritroviamo i protagonisti in situazioni e luoghi diversi. Durante il prologo, ambientato a Londra, il pubblico fa la conoscenza con la prima new entry: l’affascinante Angelica (Penélope Cruz), che in qualche modo convince (o meglio obbliga) Sparrow ad imbarcarsi con lei alla ricerca della leggendaria Fonte della giovinezza, a bordo della nave dell’ancora più leggendario Barbanera (Ian McShane).

La storia, quindi, mescola realtà (Barbanera è una personaggio storico, che terrorizzò realmente i Caraibi all’inizio del diciottesimo secolo) e finzione. In realtà alla base della sceneggiatura di Ted Elliot & Terry Rossio c’è un libro: si tratta di Mari stregati, scritto da Tim Powers e pubblicato per la prima volta nel 1987 (in Italia è edito da Fanucci). Gli autori del film hanno adattato la storia – in cui comparivano Fonte della Giovinezza e Barbanera – ai personaggi della saga cinematografica, realizzando così un ibrido curioso ma abbastanza riuscito.
Mari stregati (che leggerò al più presto) è peraltro un caposaldo della moderna produzione mediatica piratesca: è infatti il libro che ha ispirato la serie di videogiochi Monkey Island, come rivelato dal game designer Ron Gilbert sul suo blog. Serie di Monkey Island che, in parte, è ispirata anche alla giostra “Pirati dei Caraibi” di Disneyland, la quale a sua volta è alla base della serie cinematografica. Insomma, come vedete tutto torna…

La trama si sviluppa nell’arco di due ore e venti, ed è ben congegnata nel mettere in scena una corsa all’oro tra tre diversi schieramenti che finiranno inevitabilmente per scontrarsi. Come già nel secondo e nel terzo episodio della serie, le alleanze tra i personaggi si sciolgono e ricompongono in continuazione, senza un attimo di tregua, e danno da riflettere su chi siano i “buoni” e chi i “cattivi”. Se da un lato questo meccanismo assicura una varietà e un respiro epico al film, dall’altro appesantisce di molto l’intreccio, che risulta a tratti veramente ingarbugliato: non siamo ai livelli di Ai confini del mare (dove a un certo punto non ho capito più niente), ma comunque il film presuppone un pubblico capace di tener testa a uno svolgimento piuttosto arzigogolato.
I problemi narrativi, però, non finiscono qui. La lunghezza del film (circa 137 minuti), pur inferiore a quella degli altri episodi, è decisamente eccessiva: c’è qualche lungaggine di troppo, a partire dal prologo londinese, e persino qualche passaggio inutile. Forse la pellicola avrebbe potuto rientrare senza problemi nelle due ore, e ne avrebbe guadagnato anche il ritmo, che in qualche punto cala notevolmente: niente a che vedere con la prima trilogia, che teneva desto l’interesse dello spettatore per tutta la durata del film.
C’è poi da aggiungere che i nuovi personaggi non reggono il confronto con i loro illustri predecessori: in molti casi sono appena abbozzati, quando non tirati via frettolosamente o sfruttati male. Penso al missionario (interpretato da Sam Claflin), che poteva introdurre in maniera migliore il tema religioso nella saga, e invece è relegato quasi al rango di comparsa (scadendo a tratti nel ridicolo involontario); penso alla sirena (l’attrice francese Astrid Bergès-Frisbey), che praticamente fa da tappezzeria; ma penso soprattutto al cattivo, il famigerato Barbanera, che dopo una prima, memorabile apparizione si riduce ad una figura piuttosto convenzionale di antagonista, facendo rimpiangere un personaggio dallo spessore drammaturgico come Davy Jones. La migliore, fra le nuove entrate, è la Cruz: femme fatale astuta e doppiogiochista, con un passato ben delineato e alcuni stereotipi da piratessa che non guastano.
Per fortuna gli altri personaggi si mantengono su ottimi livelli. Jack Sparrow ormai è nella leggenda, e Depp si deve limitare ad amministrare la cosa. Barbossa è quello che ha subito l’evoluzione maggiore, in parte parallela (e inversa) a quella subita dal Commodoro Norrington nel secondo episodio della serie: acquisisce così un’ulteriore sfumatura e uno spessore maggiore (oltre a una caratteristica fisica in più). Gibbs è ormai nell’olimpo dei comprimari, mentre ho trovato inutile il secondo cameo nella serie di Keith Richards. Secondo Wikipedia, inoltre, tornano anche alcuni personaggi secondari appartenenti alla marina inglese: ma, francamente, non sono così riconoscibili, quindi direi che l’operazione non è riuscita.
Dove invece la sceneggiatura si dimostra solida è nei dialoghi. Da sempre sostengo che questa serie ha il vero punto di forza nelle memorabili battute infilate in bocca ai suoi protagonisti. La parte del leone, come al solito, è riservata a Jack Sparrow: oltre alle solite massime da gran canaglia qual è, in questo film prorompe anche in delle scoperte allusioni sessuali (che, in un film prodotto dalla Disney, non sono poco).

La sceneggiatura, quindi, non è esente da difetti. Qualcuno magari potrebbe imputare questi problemi al cambio di regia, transitata dalle mani di Gore Verbinski a quelle di Rob Marshall (Chicago, Memorie di una geisha, Nine). In realtà non credo sia così: pur continuando a preferire Verbinbski, ritengo che Marshall se la sia cavata egregiamente anche senza balletti e canti – ma, mi viene da aggiungere, con un budget di 150 milioni di dollari era veramente difficile sbagliare sotto questo punto di vista. Abbondano inquadrature aeree di scenari mozzafiato, riprese subacquee e duelli all’arma bianca, e tutto è realizzato senza sbavature.
Il film forse è un po’ troppo sbilanciato verso l’azione: ho come l’impressione che, fatte le debite proporzioni, in questo episodio ci siano più combattimenti. Una cosa che non mi è andata molto giù è la deriva sempre più acrobatica che hanno preso i duelli: capisco che i film di avventura (e quelli di questa serie in particolare) debbano presentare situazioni al limite del verosimile, ma alla sospensione dell’incredulità in qualche caso è richiesto uno sforzo veramente sovraumano.

Purtroppo vi devo segnalare che il film è in 3D. Per modo di dire: la cosa più tridimensionale della pellicola è stato il trailer di Cars 2… Il discorso è sempre lo stesso: nei primi minuti l’effetto si vede, poi l’occhio si abitua ed è come vedere un “vecchio” film, ma con dei pesanti occhiali sul naso. Il gioco vale la candela?
Rimanendo in area tecnica, faccio ancora una volta i complimenti ad Hans Zimmer per la colonna sonora: ho apprezzato che tornassero, spesso in chiave rivisitata, alcuni dei temi storici della serie. Per questo film, tra l’altro, si è avvalso della collaborazione del duo di chitarristi messicani Rodrigo y Gabriela, come si evince dalla splendida versione del tema classico che si può sentire sui titoli di coda.

Concludendo, com’è Pirati dei Caraibi – Oltre i confini del mare? In linea di massima, è un film gradevole e vedibile, a tratti persino entusiasmante se amate il genere; ma è innegabile che sia azzoppato da alcuni gravi difetti in fase di sceneggiatura. Paradossalmente, questo film cade proprio su quello che era considerato un punto di forza nelle precedenti pellicole: delle belle sceneggiature del passato sono rimasti solo i dialoghi, mentre il fascino dei personaggi e il ritmo della storia sono andati persi in questi quattro anni di attesa. È per questo motivo che considero Oltre i confini del mare il peggior episodio della serie: mi è piaciuto anche meno del terzo, che pure, per altri motivi, non mi aveva entusiasmato.
Ora, cosa augurarsi per il futuro? Il quinto episodio è già in cantiere, e la saga si presta ad infinite variazioni sul tema: fintanto che Johnny Depp non si stancherà di guadagnare milioni di dollari, la serie andrà avanti. Visto che la storia è autoconcludente, è probabile che anche i prossimi episodi presentino trame separate, in cui però toneranno ad incrociarsi i destini dei vari personaggi. La mia speranza è che il tiro venga aggiustato, e che questo resti l’equivalente di Episodio II per la saga di Star Wars. Altrimenti, il fascino di Pirati dei Caraibi andrà perduto insieme a tutti gli elementi già dimenticati in questa pellicola.

Luigi

Piccola nota finale: continua il delirio dei traduttori italiani, che sembrano avercela particolarmente con questa saga. Perché chiamare questo film Oltre i confini del mare quando già il precedente era stato battezzato Ai confini del mondo? Così si rischia una certa confusione. Non era meglio adattare il titolo originale (On stranger tides, più o meno “su maree sconosciute”) o, se proprio si doveva cambiare, optare per qualcosa di più attinente (In Francia, per esempio, è stato chiamato La Fontaine de jouvence)?

6 commenti:

livio15 ha detto...

Non l'ho ancora visto ma già da quando l'avevano annunciato sapevo che non sarebbe stato un gran che, insomma i primi film erano una trilogia auto conclusiva perché rovinare l'effetto andando avanti ? beh perché cosi ci si guadagna sopra, non si pensa più al giusto finale ma a quanto ci si può guadagnare continuando a sfornare episodi, eppure è un peccato.
Ho comunque da controbattere alla tua affermazione riguardo alla trama, devo dire infatti che la cosa che ho maggiormente apprezzato della serie è stata proprio la sua articolazione nella trama, soprattutto nel secondo e nel terzo ho trovato l'intreccio incredibilmente complesso ed al contempo ben giocato, gestito ed articolato. Infatti pirati dei Caraibi è una serie che vista nel suo insieme va studia nel gioco di relazioni, inganni e tornaconti personali dei vari personaggi, bisogna stare molto attenti hai dialoghi e alle cose sottintese, per questo sia gli attori che i dialoghi stessi devono essere molto validi, non si può fare un film del genere infatti se uno degli attori principali è un inetto o se i dialoghi non sono ben articolati perché sia nell'uno che nell'altro caso si rischia di mandare il tutto nel Caos e di non riuscire più a capirci nulla.
spero di vedere il 4 a breve, anche se questo mese è già tanto se riesco a vedere il mio letto, un saluto.

Luigi ha detto...

Anche io apprezzo molto la complessità di questi film: l'intreccio articolato è proprio una delle cose che secondo me li differenziano dagli altri blockbuster hollywoodiani. Inoltre si creano delle ambiguità tra bene e male, tema che adoro in tutte le salse.
Però, inevitabilmente, una trama del genere porta un affaticamento mentale non indifferente; e per di più, in qualche caso gli eventi si susseguono tanto velocemente che non riesci a star loro dietro.
Insomma, si corre qualche rischio... E se non hai personaggi carismatici e memorabili, la cosa ti si potrebbe ritorcere contro

Valeria ha detto...

io ho sbadigliato tutto il tempo! come sono blasfema...

però, davvero, sti film non mi prendono proprio! è più forte di me! però almeno c'ho provato...

Michele ha detto...

Il film secondo me mantiene le promesse, che, onestamente, non erano molte..belle scene di combattimento, qualche battuta brillante, scenari esotici e Depp che "gigioneggia"..la tensione narrativa non è impareggiabile, anzi. Ma, ad essere sinceri, nemmeno i film precedenti sono stati impeccabili su questo punto..
Aggiungo ancora: bella la trovata delle sirene, anche se la storia tra la Bergès-Frisbey(cui rispuntano provvidenzialnente le gambe per buona parte del film)e quella strana sorta di chierico palestrato è davvero improbabile e ai limiti del ridicolo..
Infine, e chiudo, Penelope Cruz non è male, ma secondo me si sente la mancanza della Knightley, che in quel ruolo era davvero perfetta..

Luigi ha detto...

Ciò che è veramente ai limiti del ridicolo è la muscolatura del missionario. In ogni caso, quel segmento del film l'ho trovato veramente inutile: come se dovessero per forza di cose inserire una storia d'amore "vera" (quella tra Depp e la Cruz è molto sui generis).
In molti, su Internet e non solo, hanno lodato le scene con le sirene. Ma personalmente non mi hanno fatto impazzire: certo, sono belle quanto letali, ma a parte questo?
Secondo me la Cruz è tagliata per la piratessa, mentre la Knightley per la donna in costume (non da bagno; vedi anche: "Orgoglio e pregiudizio"). Anche io la rimpiango - il suo personaggio era bello e si evolveva con qualche sorpresa - ma anche la figlia di Barbanera ha il suo perché.

E comunque sì: la tensione narrativa non è ai livelli dei film precedenti (ce l'avevano, dai). Infatti capisco gli sbadigli di Valeria: se il genere non vi piace, questo non sarà il film che vi farà cambiare idea...

Oh Michele: grazie per il commento. Davvero, sono contento. ;)

Gianfranco ha detto...

Ancora non sono riuscito ad andare al cinema per vederlo. Forse domani è la volta buona.

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